22/04/2020

22/04/2020

22/04/2020

Oggi “festeggio” sessanta giorni di Zona Rossa, chissà cosa avrei potuto fare in questi sessanta giorni di blocco. Sono stati sessanta giorni fermi, statici, quasi come se mi avessero ibernata per sessanta giorni. Cosa avrei potuto fare in sessanta giorni che non ho fatto?

Probabilmente avrei avuto una macchina, avrei fatto serate con le amiche, mi sarei trasferita, avrei capito che voglio fare nella vita, sarei tornata in aula, avrei fatto sorridere le persone che amo molto di più, le avrei abbracciate e non mi sarei sentita inutile. Sicuramente avrei fatto l’amore molto di più.

Forse, però non mi sarei mai avvicinata così tanto ad amiche che prima, sapevo che erano lì, ma erano “solo lì” e ora, ora ci sono sempre. Non avrei pensato così tanto e non avrei mai aperto questo blog seguito da 4 gatti, ma che mi dona la possibilità di far esplodere i mille e mila pensieri che mi attraversano ogni giorno.  Non avrei avuto il coraggio che ho avuto in questi sessanta giorni di non arrendermi e di tenere duro, di piangere urlando ogni notte contro il cuscino, ma poi risvegliarmi e fare qualcosa, cercare di far sorridere le persone che mi chiamavano, anche se non sempre ci sono riuscita. Prima di questi sessanta giorni, non avrei mai avuto il coraggio di poter credere che, un giorno, per sessanta giorni, sarei rimasta a casa mia, senza poter avere la sua pelle contro la mia, i suoi occhi a guardarmi e a darmi quella forza e sicurezza che solo lui è capace di darmi; non sarei mai stata capace di prendermi per mano e dirmi “Forza, puoi farlo”, non sarei mai riuscita a farcela.

Eppure sono passati sessanta giorni e nonostante io sia a pezzi, sono viva e sto bene.

Dicono che non siamo mai in grado di capire quali davvero siano i nostri limiti se prima non cerchiamo di affrontarli e superarli. Ecco, ho capito che, nonostante sia difficile vivermi da sola e faccia davvero fatica a sopportarmi, io posso superare anche questa. Non è più un mio limite, perché l’ho superato. E mi sento come se fossi ad una gara di salto in alto e io, dopo aver saltato quell’altezza che mi sembrava impossibile, mi giro e sono fiera, perché, con le mie uniche forze, ho saltato un’altezza lunga sessanta giorni.

06/04/2020

06/04/2020

06/04/2020

Oggi ho bisogno di raccontarmi una favola, non ho bisogno di sentire la verità, ho bisogno di altre illusioni. Ho bisogno di illudermi che tutto andrà per il meglio, ho bisogno di illudermi che non cambierà nulla da quel che è stato, ho bisogno di illudermi che sarà migliore, che andrò avanti, che tutto si aggiusterà, che i pezzi andranno al posto giusto e io, io ora che mi sento un pezzo di un puzzle perso, ora ho bisogno degli altri pezzetti. Ho bisogno di un pezzetto in particolare, ho bisogno di quel pezzetto.

Avete presente quando finisce un amore e iniziate a credere che non succederà mai più di innamorarsi così intensamente? Questa favola inizia proprio così, con questa convinzione: una ragazza che aveva appena concluso una storia, una storia che era nata male, con l’idea che prima o poi sarebbe finita, una storia fatta di sorrisi, ma troppi imbarazzi, troppi scontri, troppe parole al vento, troppe promesse non mantenute, troppi litigi, troppe porte chiuse. Non erano fatti per stare insieme, o forse sì, forse erano fatti per stare insieme solo per quell’anno e mezzo e poi era giusto prendessero strade diverse. “Forse l’amore è questo: esperienza, forse l’amore per una sola persona in vita è innaturale, forse è giusto amare fino all’ultima goccia ogni persona che diventa parte della nostra vita”, pensava avvolta dalla felpa di quello che ormai veniva definito “Ex”.  Lei credeva in quell’amore, credeva nell’amore, credeva nelle mani intrecciate e negli sguardi persi, credeva in qualcosa che sentiva di aver appena perso.

Poi imparò a farcela da sola, imparò a scaricare le cose da internet, imparò a dire di no, imparò ad apprezzarsi, imparò ad ascoltarsi, ad amarsi.

Poi arrivò lui e come tutte le volte, le sconvolse la vita, le incasinò le certezze, le scardinò il cuore. Non decise di innamorarsi successe e basta, ma questa volta decise che non avrebbe mai più chiesto di essere amata, non si sarebbe mai più sentita dire quello che doveva fare. Questa volta era padrona di sé stessa, questa volta non avrebbe fatto promesse, questa volta non gli avrebbe permesso di fare promesse se sapeva che non poteva mantenerle. Questa volta doveva essere diversa, doveva controllarsi per non soffrire.

Poi una sera, mentre l’alcool era in circolo nel suo corpo, lei capì di amarlo. Per nessun motivo specifico, per nessuna ragione logica, per chissà che pensiero, lei lo sapeva, in quel momento sapeva di amarlo. E si convinse che l’avrebbe amato fino a che l’amore avrebbe solo fatto bene. Il tempo passò e vi era solo bene, qualche broncio, un po’ di paranoie, ma tanto bene. Perché non piangeva più per niente, non voleva promesse, lui iniziò ad amarla in silenzio senza che lei glielo chiedesse, perchè lui non si permise mai di dirle quello che doveva fare, lei era padrona di sé stessa e lui era padrone di sé stesso e insieme, insieme erano due complici pronti a sostenersi in ogni modo.

Ora che quei complici sono lontani l’uno dall’altra lei piange spesso, chiude gli occhi e abbraccia il suo peluche, ora lei non chiede altro se non un suo abbraccio, un suo bacio. Loro sono come un puzzle e lei ha bisogno di un pezzetto in particolare, ha bisogno di quel pezzetto.

3/04/2020

3/04/2020

3/04/2020

Oggi avevo voglia di credere in me, di prendere in mano la mia vita e renderla davvero mia. Mi sono svegliata con la consapevolezza che tutto questo finirà e che prima o poi anche io mi riprenderò la vita che stavo realizzando. Tornerò ad andare ai concerti, tornerò a bere birra, tornerò a stare con gli amici e ad abbracciarli tutti, uno ad uno. Torneremo tutti, più forti di prima.

Ma oggi non è il futuro e ho deciso che conterò il futuro a minuti, forse ore. Che non penserò più a che farò tra un giorno, ma a che farò tra un’ora. Perché la cosa certa è che non mi devo organizzare il lavaggio dei capelli, non mi devo organizzare i vestiti da portare da lui, non mi devo organizzare i vestiti da mettere la domenica per stare a casa sua. Ci sono tantissime cose che odiavo fare prima o che facevo con ansia, che ora non devo più fare, cose che mi mancano, certo, ma che sono una perdita di tempo in meno. E quindi sì, oggi mi sono svegliata pensando che il mio futuro è ora, che sono io stessa il futuro, che devo darmi una possibilità.

Ci sono voluti 40 giorni per farmelo capire, 40 giorni e 40000 lacrime, 4000 urla di tristezza smorzate dal cuscino e 444 pensieri scritti su fogli sparsi per farmi capire che devo andare avanti.

Ho deciso che se penserò al futuro lo farò solo per un futuro molto lontano, quando mi sarò ormai dimenticata di tutto questo e la quarantena sarà soltanto un ricordo lontano. Voglio ricominciare a sognare in grande, ma in grandissimo.

Per ora penso a quel che guarderò questa sera, penso al messaggio che ho appena ricevuto e a cui devo una risposta, trasformo la mia vita minuto per minuto, magari così passerà più in fretta, magari.

Sono solo pensieri sparsi

Sono solo pensieri sparsi

Ho sempre scritto fin da quando sono bambina, sono sempre stata una bambina strana: parlavo molto anche se mi si capiva molto poco, cercavo sempre di piacere a tutti anche se il mio carattere non lo permetteva. Ho iniziato a scrivere perchè mi sono resa conto che era l’unico modo per sfogare tutti i pensieri che avevo in testa. E oggi, a distanza di tredici anni mi rendo conto che non sono cambiata, sono solo cambiati i pensieri (neanche tutti in realtà), si sono fatti più fitti e più severi, ma grazie alla scrittura riesco a gettarli nero su bianco e, almeno per un po’, a riordinarli e renderli meno cattivi.

Ho scritto fin da quando sono bambina, ma non ho mai mostrato quasi a nessuno i miei scritti, li ho sempre trovati troppo miei per essere di qualcun’altro. Ma forse non è così, forse mi sbaglio. Forse c’è qualcuno che mi capisce e che prova la stessa cosa che provo io e sentire di non essere sola mi tiene incollata al computer, mi tiene incollata alla mia penna, mi riporta la voglia di scrivere.

Ho scritto fin da quando sono bambina e tenevo un diario solo mio, non l’ha mai letto nessuno. Ho continuato a scrivere perchè le parole sono le uniche che non mi hanno mai abbandonata e mi aiutano a vivere con più vita.

Quando ho iniziato a stare male male (ecco, si chiamerà male male) l’unica cosa che mi aiutava a sopportare tutto il peso era scrivere: delle volte scrivevo di me, di quello che provavo, per capire di più che cosa realmente provavo; altre volte scrivevo di altri, o di come avrei voluto essere, inventavo storie che non avrei mai vissuto se non vivendolo attraverso le mie parole.

Ora vorrei iniziare a raccontarmi in questo portale, per sentirmi un po’ meno sola.

E quindi benvenuti nel mio mondo.